lunedì 21 luglio 2008

CAPITOLO 1

Un piccolo stereo suonava sottovoce un brano di musica new-age, stanco e caldissimo per aver girato tutto il giorno.
Edward adorava lavorare accompagnando le sue matite con un sottofondo musicale.
Il signor Stevens gli aveva riservato una grande stanza nel suo studio, affinchè potesse concentrarsi al meglio e dare sfogo a tutta la sua creatività.
Fin da piccolo, Edward aveva, tra le tante sue passioni, coltivato una naturale predisposizione per il disegno. Si era diplomato all’Istituto d’Arte di Napoli dove aveva vissuto per quasi vent’anni, e dove aveva iniziato gli studi all’Accademia di Belle Arti.
Poi, però si era laureato lì, a Brownsville, la sua città natale, dove era tornato ormai da tre anni.
Il signor Stevens era un vecchio amico di suo padre, nonché un architetto molto conosciuto da quelle parti. Non aveva esitato neanche un attimo, quando Albert gli aveva chiesto di prendere Edward sotto la sua supervisione, era un ragazzo in gamba, e fin da subito aveva dimostrato le sue capacità e la miniera di idee che gli uscivano fuori senza alcuna fatica.
Aspirava un giorno ad aprire un suo studio, ma per ora quella stanza per lui era il massimo.
La teneva sempre al buio e lavorava soltanto con la luce di una grande lampada fissa sul suo tavolo da disegno. Era arredata in stile moderno, c’erano libri un po’ dappertutto. Sulle pareti aveva affisso delle tavole di architetti famosi, e la scrivania era ricoperta di riviste dalle quali prendeva spunto. Lui si occupava di arredamento e architettura d’interni, completando, in quel modo, il lavoro del signor Stevens, che invece si occupava delle parti esterne e delle strutture principali.

Era al massimo della concentrazione su un progetto per un negozio di scarpe, quando il suo titolare bussò alla porta –Edward, posso entrare?- domandò
-Ma certo- rispose lui senza alzare gli occhi dal foglio.
Il signor Stevens entrò in silenzio, compiacendosi per l’impegno che notava in lui giorno dopo giorno.
-Lo sai che ore sono, Edward?- gli chiese
Edward si tolse gli occhiali e guardò l’orologio affisso alla parete -O mio Dio, le sette e mezzo-
-Esatto- confermò facendogli vedere che il suo orario di lavoro era già terminato da un’ora e mezza.
-Avevo detto a mio cugino che sarei passato a prenderlo, devo scappare- disse raccogliendo fogli, squadrette e matite, poi si infilò in fretta il giubbino
Nel frattempo Stevens diede un’occhiata ai disegni.
-Mi chiedo come farò quando diventerai l’architetto più in gamba degli Stati Uniti e mi lascerai solo in questo umile studio-
- Potrei sempre assumerla come apprendista- gli rispose lui ironicamente annodandosi la sciarpa
L’uomo sorrise - Ne sarei lusingato-
Edward controllò di avere in tasca le chiavi della macchina e si congedò in fretta – Allora vedremo se supererà le selezioni! A domani signor Stevens-
- Ciao, Edward, buona serata-
Scese in fretta le scale e cercò la sua auto. Aveva detto a Michael che sarebbe passato a prenderlo alle diciannove, ed era in netto ritardo.
Michael lavorava in una comunità per tossicodipendenti, dove lui stesso era stato in cura per quasi due anni. Ne era uscito definitivamente grazie ad una forte volontà e alla nascita di suo figlio, Nicholas.
Era sposato con Elisabeth, sua cugina. La loro era stata una lunga e tormentata storia d’amore, ma la nascita del loro bambino sembrava aver messo tutto in ordine.
Erano mesi, però, che il loro rapporto era seriamente in crisi a causa del lavoro di Michael, che lo impegnava a tempo pieno e in cui dava il massimo, grato a quella comunità per avergli salvato la vita.
Finiva sempre per affezionarsi ai ragazzi e a prenderli troppo a cuore. Così, spesso si trovava a dover restare con loro anche al di fuori dell’orario di lavoro, e molto spesso anche di notte.
Erano due mesi che si occupava di una ragazza di diciotto anni, Annie, che fin dal primo momento si era invaghita di lui, scatenando la gelosia di Elisabeth e provocando numerose liti e incomprensioni.
Si erano sposati giovanissimi, avevano entrambi vent’un anni quando lei era rimasta incinta, e così avevano voluto unirsi in matrimonio per dare un sigillo al loro amore e per dare una famiglia la loro piccolo, che ora aveva quattordici mesi.
Durante il tragitto, Edward ricordò con nostalgia i tempi in cui lui e Michael erano ottimi amici. Erano sempre stati molto uniti, e il legame che si era creato tra loro andava ben oltre la parentela.
Ultimamente però, l’aria di crisi che si respirava, aveva messo in serie difficoltà anche la loro amicizia, perché spesso, si trovava costretto a dover scegliere se stare dalla parte di suo cugino, o di sua sorella, Elisabeth.
E in quei momenti, non riusciva a fare a meno di avercela a morte con lui, per il marcato senso di protezione che aveva nei confronti di sua sorella.
In realtà, lui ed Elisabeth erano fratellastri, avevano padri diversi, tralaltro fratelli. La madre era morta quando loro erano ancora piccoli, lasciandoli sotto la supervisione di Arthur, il loro fratello maggiore. Arthur era più grande di Edward di solo un anno e mezzo, ma si era sempre occupato di loro, ricordandosi della promessa fatta a sua madre prima che morisse.
Arthur era sposato con Nicole, una ragazza originaria del Brasile, che fin da neonata aveva abitato a casa loro, dato che era la figlia di Amelia, la governante.
Edward era l’unico dei tre che non si era ancora sposato, ma avrebbe provveduto presto, visto che mancavano quattro mesi circa al suo matrimonio con Anna. L’aveva conosciuta in Italia era la migliore amica di Elisabeth. Lei lo aveva seguito fino in Texas, rinunciando alla sua terra e all’affetto dei suoi cari. E lì veva trovato lavoro come insegnante di danza moderna, e aveva così, realizzato anche un suo ambito sogno.

Edward arrivò al cancello poco prima delle venti.
La guardia lo fermò –Prego?-
-Buonasera sono il cugino di Michael Wilson- gli disse
-Ok, glielo faccio chiamare subito-
Dopo pochi minuti, Michael era lì. Gli occhi castani erano scavati dalla stanchezza, e delle ciocche di capelli gli scendevano sulla fronte senza un garbo.
-Andiamo?- gli chiese Edward invitandolo a salire in macchina.
Michael poggiò i gomiti sul finestrino aperto sapendo già che quello che stava per dire avrebbe scatenato l’ira di suo cugino - No, Edward, stasera non torno a casa-
-Cosa?-
-Annie ha una crisi di astinenza, devo stare con lei, ma tornerò a casa appena posso- gli spiegò lui
Edward scese dalla macchina e lo guardò dritto negli occhi con aria minacciosa –Ti ricordo che sono tre notti che non torni a casa-
-Lo so bene, Eddy…- gli rispose lui mortificato
-E scommetto che non l’hai neanche avvisata tua moglie- aggiunse
-Non ne ho avuto il tempo. Spiegaglielo tu, ok. Ora scusami, devo andare-
Edward lo afferrò per un braccio –Dove credi di andare! Ora vai dentro, dì a quella ragazzina che devi tornare a casa e lascia che si occupi qualcun altro di lei, hai già fatto abbastanza-
Michael sospirò e scosse la testa –Tu non capisci. Non posso lasciarla sola-
-Ah no? Però tua moglie e tuo figlio puoi lasciarli soli anche per tre giorni consecutivi…-
-Guarda che io sono tornato a casa, ma non ci siamo incontrati perché lei era al lavoro! Nicholas l’ho visto. E per favore, non ti ci mettere anche tu, i miei problemi sono già troppi. Dì a Elisabeth che tornerò al più presto possibile-
-Io non le dico proprio niente!- controbattè Edward risalendo in macchina
Michael sentì la rabbia salirgli al cervello –Ma cosa credi, che io non ci voglia tornare a casa?!-
-Sinceramente non so più a cosa credere!- lo freddò suo cugino-Smettila con questa storia!- urlò -e smettila di mettere strane idee in testa a tua sorella!--Elisabeth non è stupida-
Michael cercò di soffocare la rabbia –Ascolta, Edward, non è il caso di parlarne qui, e soprattutto ora. Ne parleremo domani se vuoi. Adesso scusami, ma devo andare-
Gli voltò le spalle e tornò dentro.
Edward scosse la testa e mise in moto.
Quando varcò il grande cancello bianco di casa sua, cominciò a pensare alle parole giuste per spiegare la cosa a Elisabeth, ma il viale che lo separava dalla porta d’ingresso, fu troppo breve.
Nicole andò ad aprirgli. Lui le diede un bacio sulla guancia -Ciao bella- le disse ancora amareggiato.
Nicole ricambiò con affetto –Bentornato-
-Anna? Non c’è?- le chiese meravigliato che non fosse andata lei ad accoglierlo
-Aveva il saggio in palestra- gli rispose Nicole
-Ah, già che stupido, l’avevo dimenticato-
-Mi ha detto di dirti che non sarà di ritorno prima delle due- lo informò lei
-Si, lo immaginavo-
Si tolse il giubbino e la sciarpa e salì di sopra. Abitavano tutti insieme in una grande villa appartenuta un tempo a suo nonno, abbastanza grande da ospitare tutta la sua famiglia, compresi i suoi zii Walter e Philip con la sua famiglia..
Walter era il più giovane, ed era il padre di Elisabeth. Aveva uno studio di grafica e fotografia che negli ultimi tempi aveva lasciato gestire a sua figlia con il provvidente aiuto di Arthur.
Philip, invece era il fratello maggiore di suo padre e viveva a casa Wilson con sua moglie Catherine. Loro due erano i genitori di Michael
Appena tornava da lavoro, era solito bussare in camera di Elisabeth e Michael per salutare il piccolo Nicholas.
-Elisabeth, posso entrare?- chiese
Al sentire quella voce, Nicholas cominciò a dimenare le gambine e a battere le mani gridando
–Deddy, Deddy!-
-Ma certo, vieni- lo invitò lei lottando con il bimbo per abbottonargli il pannolino
Elisabeth lo guardò negli occhi, e non ebbe bisogno di chiedergli altro.
-Mi dispiace- le disse lui –come vedi sono solo-
Lei gli sorrise e scosse la testa –Non importa. Forse è meglio così-
Si chinò di nuovo a vestire il piccolo Nicholas e una ciocca di capelli le sfuggì dalla lunga treccia castana con dei riflessi dorati.
Edward gliela sistemò e notò che aveva gli occhi lucidi.
-Dai, non fare così- le disse dolcemente
Lei si asciugò una lacrima –Non farci caso. Mi aveva promesso di essere qui stasera. Ma me l’aspettavo. E’ ancora per quella ragazzina, vero?-
Edward si sedette sul letto e accarezzò suo nipote che continuava a gridare continuamente il suo nome –No…Si tratta di un altro caso-
Elisabeth sorrise amaramente –Sei carino a volerlo difendere, Eddy. Ma tanto lo so che è per lei-Nicholas sfuggì dalle braccia di sua madre che cercava di rivestirlo e si gettò al collo di Edward.
Lui ricambiò l’abbraccio, poi lo lanciò sul letto e cominciò a fargli il solletico facendolo ridere a crepapelle.
-Eddy, per favore, ha appena mangiato- lo riprese lei
Edward lo tirò per le gambe e lo riportò al bordo del letto –Ecco, vieni, adesso ti veste il tuo zio preferito-
-Ok…-gli disse Elisabeth -…allora se puoi stare con Nick cinque minuti, io andrei a fare una doccia-
-Vai pure, ci penso io a lui. Ma fà presto, credo che la cena sia già pronta – le rispose
-Faccio in un lampo. Ah, e mi raccomando, non fargli fare troppe acrobazie se non vuoi che ti vomiti in faccia-
-Tranquilla, forza, vai- la scacciò ansioso di restare solo con suo nipote.
Quando uscì dal bagno, li trovò ancora sul letto in un’accanita lotta.
-Edward!- lo rimproverò - ti avevo detto niente acrobazie!-
Il piccolo Nicholas non gli dava tregua, continuava a saltargli addosso e a ridere a crepapelle.
-Guarda, è lui, non lo vedi?- cercò di giustificarsi Edward
Elisabeth non potè fare a meno di sorridere.
Recuperò suo figlio e scesero a cenare.

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