martedì 22 luglio 2008

CAPITOLO 10

Per Edward ormai era diventato quasi d’abitudine dormire in camera di Anna. Da quando suo fratello si era sposato, la sua stanza sembrava sempre vuota e terribilmente triste. Gli mancavano le ore passate a parlare, a litigare, e le insopportabili manie della sua insonnia, quando in piena notte accendeva la radio o la tv, o magari apriva il balcone in pieno inverno per prendere un po’ d’aria. Lo odiava quando andava avanti e indietro per la stanza trascinandosi le pantofole con poco garbo, aprire in continuazione la porta del bagno, il rubinetto, e tutto il resto, e lo odiava ancora di più quando gli faceva domande mentre dormiva, come se fosse una cosa normale mettersi a parlare di cose inutili nel pieno della notte.
-Eddy, dobbiamo rivedere la lista degli invitati- gli disse Anna già munita di carta e penna
-Ora?-
-Si…E quando se no?- confermò lei
Edward guardò l’orologio –Annina, ma è l’una di notte, non potremmo rimandare a domani?-
-L’abbiamo detto anche ieri sera…E l’altro ieri, e il giorno prima ancora-
-Bè, vuol dire che rimanderemo ancora un altro giorno, c’è tempo no?-
Lei sospirò sconfitta –Non è che io avessi tutta questa voglia…E tu non mi incoraggi affatto- disse lei spogliandosi.
-E dai, piccola, lo faremo domani, promesso- la baciò sulle labbra e si misero a letto, addormentandosi all’istante, abbracciati.
Arthur si trovò a combattere con la sua solita insonnia, che quella sera era più marcata che mai.
Era l’una, erano passate due ore. Pensò che Gabriel oramai doveva essersi svegliato. Doveva andare da lui, ma ironia della sorte, quella sera sembrava che Nicole non avesse alcuna intenzione di dormire.
-Arthur mi sembri nervoso- gli disse -è tutto a posto?-
-Si, si, sta tranquilla- rispose lui con tono vago
-Io ti vedo teso- insistette lei
-Sto bene, credimi…Ho molto lavoro da sbrigare, sono un po’ stressato, vado a prendere un bicchier d’acqua, ok? Aspettami un attimo-
Si alzò, ma Nicole lo fermò abbracciandolo -Ci vai dopo, dai, io avevo altri progetti per la notte del mio compleanno-
Arthur la guardò negli occhi maliziosi. Indossava un completino rosa chiaro che evidenziava meravigliosamente la sua pelle scura.
Pensò che infondo Gabriel poteva aspettare, non si sarebbe mosso di lì, ma poi si ricordò di aver dato la sua parola a Michael.
Era profondamente combattuto, ma un bacio di Nicole fece sparire ogni suo dubbio e lo convinse che non sarebbe successo niente se tardava di un quarto d’ora.
Intanto, Gabriel aprì gli occhi, ma gli sembrò che un velo bianco glieli coprisse. Non ricordava niente di ciò che era accaduto.
Si sollevò mettendosi seduto sul pavimento di pietra, mentre il velo bianco pian piano stava diventando nero.
Si strofinò gli occhi per cercare di vederci meglio, ma era buio pesto. Gli sembrò di avere dei grossi pezzi di ghiaccio al posto di piedi e mani, il freddo gli attraversava le ossa.
Appena ne fu in grado si alzò in piedi e tastò le pareti con le mani. Non capiva, e non si vedeva niente, il buio assoluto. Poi tocò la porta di legno e in quel momento cominciò a ricordare.
-Arthur!- gridò battendo un pugno forte sul legno -Arthur, apri questa porta!-
Accostò l’orecchio e cercò di sentire. Nessun rumore, nessuna voce.
-Oddio- sussurrò sottovoce mentre sentì il panico salirgli al cervello –Oddio, da quanto tempo sono qui? Io devo, devo…-
Un colpo di tosse lo interruppe.
-Arthur! Michael!- cominciò a gridare prendendo a pugni la porta –Aprite, maledizione!-
Un altro colpo di tosse, più violento gli fece bruciare il petto, poi un altro ancora.
Cercò di respirare lentamente e di mantenere la calma, ma il suo respiro sembrava non rispondere ai comandi, era sempre più profondo e irregolare.
-Apritemi vi prego!- urlò ancora, ma niente.
Il terrore cominciò a paralizzarlo. Non voleva morire lì,da solo, senza sapere neanche dove fosse.
Bussò ancora disperatamente mentre un ennesimo colpo di tosse lo fece cadere in ginocchio.
-Aprite, per favore- disse per l’ultima volta mentre i colpi sulla porta perdevano forza.
L’aria gli si intrappolava nel petto e non riusciva più ad uscire, sembrava volerlo soffocare. Il sudore gli scendeva freddo sul viso. Cercò ancora di farsi uscire un filo di voce, ma quando si accorse che era tutto inutile si lasciò cadere seduto per terra, mentre guardando terrorizzato il buio intorno si sentì afferrare dalla morte, sentì il suo odore, e gli sembrò di vedere chiaramente la sua faccia.
Stava male, non era mai stato così male in vita sua.

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