martedì 22 luglio 2008

CAPITOLO 13

Gabriel fu tentato di cogliere l’occasione al volo e andare via, ma non ci riuscì.
-Edward, aspetta!- gli disse
Lui si voltò -Sei ancora qui?-
Gabriel lo raggiunse e nello spiazzato riservato ai cavalli, dove non c’erano alberi, era molto più facile cogliere i tratti del suo viso.
Edward fece un passo indietro -Vattene-
-Non sono un’allucinazione- gli disse
Sorrise amaramente -Se non sei un’allucinazione significa che sono morto e sto vedendo il mio fantasma-
-Smettila, Edward! Guardami, guardami bene. Non sono un fantasma-
Lo spinse -Smettila tu! Maledetto cortisone, non prenderò mai più niente in vita mia, giuro, mi tengo la mia bella asma e non mi ritroverò a sbattermi per salvare la vita a un fantasma con le mie sembianze! E’ assurdo….-
Voltò le spalle e riprese a camminare, ma Gabriel lo fermò di nuovo -Che tu voglia crederci o no, io sono un essere umano in carne ed ossa…. E sono tuo fratello!-
Edward ingoiò l’aria con gli occhi sbarrati fissi su di lui. Poi si resse la testa con una mano e strizzò gli occhi -Io…Io non sto bene, devo tornare a letto, vattene per favore-
Gabriel scosse la testa - Fai come vuoi allora. Buonanotte-
Ma lui non mosse un passo e riprese a fissarlo, mentre pian piano si rendeva conto che forse quella persona non poteva essere solo un’allucinazione. Forse l’aveva già capito prima, ma non voleva crederci.
Improvvisamente sentì un macigno comprimergli i polmoni e il suo respiro divenne forzato. Si resse allo steccato di legno per non cadere.
-Mi dici perché ti vedo con i capelli lunghi e con l’accento inglese?- gli disse ansimante e terrorizzato.
Gabriel gli poggiò le mani sulle spalle -Perché sono così…Perché non sono te. Sono tuo fratello, siamo gemelli-
Edward gli voltò le spalle per non guardarlo, come se quasi ne avesse paura, e poggiato allo steccato, con gli occhi fissi a terra nell’erba, si rese conto che da lì a poco, qualcosa nella sua vita sarebbe cambiato.
-Io non volevo che tu lo sapessi in questo modo, te lo giuro- gli disse Gabriel
Edward scosse la testa -Stai zitto, per favore, stai zitto!-
-Ok- obbedì lui
Fece un respiro profondo e cercò di fermare la confusione che girava nella sua testa. Si sentì mancare le forze, mentre ancora aveva il dubbio che fosse tutto un incubo.
Presto però, a quella terribile sensazione si unì la curiosità verso quella persona identica a lui che era rimasto lì fermo in silenzio ad aspettare chissà cosa.
Si girò e lo osservò ancora, poi cercò di far uscire qualche sillaba dalla gola strozzata -Tu saresti mio fratello? E dov’eri fin ora? Insomma, perché non eri qui con noi? Perché ti vedo solo adesso? E soprattutto perché eri chiuso lì dentro?-
-E’ una storia lunga. E non credo sia il caso di parlarne qui, ora. Ti spiegherò tutto in un altro momento-
-No, tu invece parli, e subito, qui, adesso. Ne ho il diritto-
Gabriel sospirò e si sedette a terra, accanto allo steccato.
Edward fece lo stesso.
-Da dove comincio?- gli chiese
-Da dove vuoi- rispose lui sconvolto
-Ok. Due anni fa, ero su internet. La mia ragazza voleva farsi un tatuaggio e cercavo un’idea. Così ho trovato il tuo sito, quello con i tuoi disegni. E c’era anche la tua foto. Neanche immagini quanto mi abbia sconvolto quella foto. Sono stato chiuso in camera per tre giorni. Poi ti ho scritto una e-mail e ti ho commissionato un disegno, te lo ricordi?-
Edward poggiò la testa allo steccato e guardò il cielo incredulo per l’assurdità di quella storia- Si, un unicorno, non dimentico mai le mie creature e i loro viaggi: “Gabriel Parker, Liverpool”-
-Esattamente. Ti ho commissionato quel disegno per avere il tuo indirizzo. Volevo venire a cercarti, ma non avevo un soldo e non avevo intenzione di chiederli ai miei “presunti genitori”. Così ho lasciato l’università e mi sono cercato un lavoro. Nel frattempo, tra liti e fughe da casa, mi hanno raccontato la verità…-
-Io non capisco, in tutta questa storia… Perché mia madre e mio padre avrebbero duvuto darti via…Cos’è successo?- lo interruppe con un nodo in gola e con i pensieri che sembravano girare impazziti senza trovare una via di fuga.
Gabriel scosse amaramente la testa -No, non hai capito, Edward…Nessuno mi ha dato via. Mi dispiace, credimi, ma tu sei orfano quanto me-
Suo fratello sorrise con stizza -Ma che diavolo dici?-
-E’ la verità, mi dispiace, credimi-
Edward si alzò e cominciò a camminare nervosamente avanti e indietro, poi si fermò, si poggiò di nuovo alla staccionata e si mise le mani tra i capelli -Mi stai dicendo che…Che non appartengo a questa casa, non appartengo a questa famiglia?!Smettila, per favore, non scherzare!-
-Purtroppo non sto scherzando. E’ stata dura anche per me-
Edward lo fissò con una rabbia che non era per lui, ma per quella verità che ancora stentava a mettere a fuoco.
Gli occhi gli si arrossarono, il respiro gli si fermò in gola -Per favore, dimmi che è uno scherzo-
-Mi dispiace, credimi, nessuno può capire meglio di me quello che ti sta passando per la testa in questo momento-
Continuava a fissarlo aspettando chissà cosa, aspettando che forse la sveglia suonasse per accorgersi che era solo un incubo.
Intorno era tutta una confusione di rumori cupi e assordanti, non vedeva altro che quella figura identica a lui e la sua vita sgretolarsi all’improvviso sotto i suoi occhi.
Seguì un lungo silenzio. Gabriel sprofondò in un terribile senso di colpa. Vide nei suoi occhi, in un attimo spegnersi la vita, il suo viso assumere una spaventosa indifferenza.
-Edward, mi dispiace, credimi…Perdonami. Michael e Arthur mi avevano avvisato del dolore che ti avrei provocato. Ma non ho voluto ascoltarli. E’ per questo che mi avevano chiuso lì dentro-
Suo fratello gli sorrise in un modo preoccupante -Cos’hanno fatto quei due?-
-Volevano evitare che ci incontrassimo. E invece è andata peggio-
Edward tornò serio -Ho capito. Dove alloggi?-
-In un albergo a pochi minuti da qui- gli rispose senza capire dove volesse arrivare-
-Ok, aspettami qui-
-Cosa vuoi fare?- gli chiese preoccupato
-Niente, tranquillo. Vengo con te-
L’inadeguata razionalità di Edward lo spaventava. Lo osservò avviarsi verso casa e restò lì ad aspettarlo.

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