martedì 22 luglio 2008

CAPITOLO 3

Elisabeth non chiuse occhio. Passò la notte a rigirarsi tra le coperte e a rimproverarsi per aver sposato Michael e per averci fatto un figlio. Piangeva in silenzio, mentre lui sembrava dormire tranquillo, e ciò aumentava la sua collera. Lo amava, certo che lo amava, ma non era quello il futuro che aveva sognato con lui. Non aveva certo immaginato di doverlo dividere con un lavoro che lo impegnasse così tanto, non solo per gli orari imprevedibili, ma soprattutto che lo impegnasse così emotivamente.
Spesso era depresso e chiuso in sé stesso per gli orrori con cui conviveva ogni giorno, e il dolore di assistere all’agonia di centinaia di ragazzi, a volte troppo giovani.
Era poco tempo che ci lavorava, e aveva visto persone uscirne e ritornare a vivere.
Altre morire per un’overdose. Altre suicidarsi.
I ragazzi della comunità lo adoravano e lo sentivano vicino , visto che lui, ci era passato per primo. Vedevano in lui la speranza di potercela fare, e ciò dava loro la forza di provarci.
Era difficile per lei stargli accanto, capirlo, ritagliare un momento che fosse solo per loro, visto che aveva sempre altri pensieri per la testa. Lo aveva sempre sostenuto e incoraggiato, in tutti i modi, e lui trovava in lei la forza e la certezza del suo aiuto. Ma ora che c’era Nicholas era tutto più difficile, Elisabeth riservava a suo figlio tutte le cure e le attenzioni, che non lasciavano alcuno spazio a Michael, e alla sera erano entrambi stanchi, sfiniti, ognuno con i suoi problemi, e ognuno con la propria vita che finiva sempre per escludere l’altro. Ogni sera, prima di dormire, sentivano pesare sul cuore una profonda delusione e indifferenza che li allontanava ogni giorno di più. L’unica cosa che ancora li teneva uniti, era il loro bambino, con il quale erano costretti a fingere,a sorridere a mostrare una felicità che invece non gli apparteneva più.
Al mattino, il piccolo Nicholas, si svegliava sempre presto, anche troppo. Chiedeva espressamente di andare nel lettone, e sua madre lo accontentava volentieri tenendolo abbracciato a lei mentre lui si lasciava coccolare senza dimenarsi come faceva di solito. Appena sveglio, si toglieva il ciuccio e lo sistemava per benino nella sua manina nella posizione giusta per intingerlo nel miele, aspettando che sua madre gli porgesse il barattolo. Quello era un vizio che Elisabeth non condivideva per niente, ma da quando Michael glielo aveva fatto assaggiare, lui non aveva più voluto lasciarlo.
Così, ammaliato da quel sapore dolce, si lasciava stringere, accarezzare, baciare le guance, il nasino, le mani, il pancino.
Quel piccolo uomo, era il primo raggio di sole del mattino per la sua mamma.
A quei momenti di tenerezza, seguiva poi il suo totale risveglio, quando ricominciava tutte le sue attività : balzare sul letto, nascondersi sotto le coperte e saltare addosso a Michael costringendolo a svegliarsi.
Visti così, tutti e tre insieme, sembravano una famiglia felice e affiatata. Giocavano, si divertivano, si coccolavano. Ma quel velo di tristezza e di sconforto, non scompariva mai dai loro cuori.

Il momento della colazione, era l’ora in cui si riunivano tutti, l’ora in cui si rideva, si scherzava, e si era di buon umore.
Edward era sempre il primo ad uscire, poi seguivano Walter, Elisabeth e Arthur che aprivano lo studio alle dieci.
-Elisabeth, non hai mica dimenticato di oggi pomeriggio, vero?- le chiese Anna prima che andasse via
Lei si infilò il cappotto e sorrise alla sua amica –Stai scherzando? Certo che no. Passa a prendermi allo studio appena sei pronta, ok?-
-Ok- confermò
Arthur aggrottò la fronte –Dov’è che dovresti andare oggi pomeriggio?-
-Accompagno Anna a provare l’abito- gli rispose lei seguendolo in macchina e già sentendo aria di rimproveri
-Ma Elisabeth….- brontolò lui, però sua sorella non lo lasciò neanche cominciare la sua predica
-Si, si, lo so, abbiamo da fare, abbiamo le consegne. Recupererò stasera, resto allo studio fino a tardi, promesso- lo zittì lei
Lui scosse la testa –Lo sai bene che non condivido il fatto che lasci il lavoro, soprattutto in pieno pomeriggio!-
Lei sbuffò.
-Arthur, non essere così pesante- la difese suo padre –ti ha promesso che rimedierà stasera-
-Ok, ma le cose che dobbiamo fare insieme?-
-Ti do il permesso di farle da solo- gli rispose lei -mi fido-
-Ah, grazie- si lamentò lui
-Dai, Arthur…- lo rassicurò suo zio -…ti do una mano io-
-La verità è che voi due lasciate sempre tutto il lavoro sulle mie spalle- brontolò ancora
-Questo vuol dire che sei in gamba e sai gestirlo bene- lo elogiò Elisabeth ridendosela insieme a suo padre
-Grazie per il complimento, ma ciò non mi fa essere meno incazzato- le rispose lui furioso.
Dovette subire le sue lamentele per tutto il giorno, ma vedere Anna indossare l’abito da sposa la ripagò di tutto.
Era veramente bellissima, anche se l’emozione di vedere la sua amica in quella veste, la fece sprofondare in un attimo di malinconia. Si ricordò inevitabilmente del giorno del suo matrimonio, quando stanca e con una forte nausea dovuta alla gravidanza, ma felicissima, piena di speranze e di illusioni sognava un futuro bellissimo, insieme all’uomo che amava e a suo figlio che stava per nascere.
Non avrebbe mai immaginato che sarebbe finita così, ma si sforzò di sorridere. Non voleva intimorire Anna con la sua espressione triste e piena di rimpianti. E poi era sicura che per Anna sarebbe stato diverso. Edward era un ragazzo d’oro, era tutto ciò che una donna potesse desiderare, era sicura che lui l’avrebbe resa felice, si, a loro sarebbe andata meglio. Se lo augurò con tutto il cuore, per suo fratello e per la sua migliore amica non poteva desiderare altro che un avvenire felice.

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